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VETRO. Misha Burlatsky

Traduzione di Noemi Gentiluomo

 

Gniiik zik…gniiik zik…il pezzo di vetro inciso e ritagliato, delicatamente si aggiunge
agli altri, già pronti. La luce nello scantinato è poca, proviene solo dalle lampade
che si trovano sui tavoli coperti di panno e si ha l’impressione che due eroici
barbuti non stiano tagliando il vetro, ma danzando un valzer con qualche partner
immaginario. Ma a volte la porta si apre e dei polverosi raggi di luce estraggono
dalla penombra delle forme che sono più appropriate a una danza in ginocchio,
piuttosto che a un valzer: la folta capigliatura, trattenuta da una fascia, oppure i
grembiuli di tela, o ancora i pantaloni adornati di stivali coperti di polvere.
È la bottega dei vetrai sulla Pochaina . Amavo venire qui. Non ricordo esattamente 1
come e quando tutto ha avuto inizio, avevo nove o forse dieci anni…ma a volte
prendevo il tram numero 2, che faceva il giro della città, uscivo sulla
“Dobrolyubova” e in un minuto già raggiungevo questo scantinato dal pavimento
d’argilla, due grandi tavoli al centro e file di vetro tagliato lungo le mura. Si sentiva
puzza di muffa, petrolio e tabacco. In questo luogo i movimenti erano lenti e i suoni
sommessi…
Sprofondo nei ricordi…
— Sarai tu a cantare — Mise il punto il tenente superiore Zaprudnov, comandante
del nostro plotone.
— Mio padre canta, non io!
— Se tuo padre canta, vuol dire che anche tu sarai in grado!
— Non conosco le canzoni di marcia in russo.
— E in che lingua le conosci?
— Ne conosco una in inglese.
— E sia!
È così che, siamo diventati, anche se per poco, l’unico plotone dell’esercito
sovietico che marciava andando al pranzo, cantando Yellow submarine.
— Rossaaa… — Misha Dudnik, robusto trattorista della provincia di Belgorod,
sergente un anno più grande di me, con stupore blocca il suo secondo cazzotto
a un millimetro dal mio naso. Grazie al metodo della deduzione immediata,
capisco le ragioni del cambiamento così brusco. A quanto pare, l’incontro tra
l’ufficiale del reggimento e Yellow submarine non ha funzionato, e il comandante
del nostro plotone ha ordinato ai soldati di cancellare questo disonore col
sangue “blu” del cantante…ma il sangue risultò essere ordinario…
Eh si, per quanto riguarda il sangue blu, l’antisemita Zaprudnov si era
evidentemente sbagliato. Fino a diciotto anni, finché non entrò nell’Armata Rossa,
mio padre dormiva sul tavolo per povertà assoluta, mentre mia nonna materna, a
dodici anni vendeva sigarette. Ma adesso mio padre è solista del teatro dell’Opera.
Via Pochainskaya, strada del centro storico di Nizhnij Novgorod. 1

Pertanto provengo da una famiglia di teatranti. A casa sono appesi i ritratti di mio
padre nei vari ruoli, mia madre attentamente ritagliava dai giornali le recensioni e le
custodiva in un album speciale. Siamo una famiglia di ebrei veramente sovietica.
Quando, a cinque anni, dicevo a mia madre che volevo diventare ebreo errante, lei
provava imbarazzo. Inoltre la mia è una famiglia ideale. Tra mio padre e mia madre
è stato amore a prima vista. Il racconto dell’enorme secchio di rose scarlatte,
regalato in occasione delle nozze in una comunalka sulla Samoteka, lo conosco a
memoria. Così come i racconti del fronte di mio padre. Come quando è stato
svegliato sulla sua postazione da un crucco pronto ad arrendersi (a mio padre
avevano regalato una medaglia per la “lingua”), o ancora più spettacolare, di
quando è stato salvato da una squadriglia della Normandie-Niémen, quando, da
tiratore-radiofonista del bombardiere IL-2 Shturmovik, si lanciò col paracadute,
incurante dell’attacco di un Messerschmitt che proveniva dal sole. Gli Yakovlev
batterono i Messerschmitt e Yasha Khanukaev, il pilota di mio padre, atterrò l’aereo
da solo. Dopo qualche giorno riportarono mio padre; volevano consegnarlo al
comando di giustizia, ma lo salvò la sua voce da tenore.
La voce di mio padre si sentiva da lontano. Forse da kilometri. Addirittura da due!
Ok, da un isolato. Sebbene, nella città di Gorkij si trattava di isolati composti da
casette a due piani con gli stipiti, le cavalline e le verande di legno. Nei cortili in 2
primavera fiorivano i meli e i ciliegi, tra cui si nascondevano le latrine imbiancate
che assomigliavano alle casette per uccelli. Per questi stessi cortili correva un
tempo Lyosha Peshkov . Aveva studiato da un disegnatore tecnico, che stava a 3
distanza di poche case sulla strada verso la mia scuola, mentre nella casa a fianco
alla nostra viveva già da grande scrittore proletario. Mio padre una volta lanciò una
pantofola sul suo tetto, quando in primavera scacciava i gatti. Camminava senza
pantofola. E Lyosha, una volta cresciuto e arricchitosi, costruì insieme al suo amico
Leonid Andreev la Casa del Popolo. Tipo Casa della Cultura per il
sottoproletariato. Dopo la Casa diventò il teatro dell’Opera, dove fu assunto anche
mio padre. Il cognome di mio padre in realtà era Zimmerman. Mentre quello di mia
madre Burlatsky. Con il suo cognome mio padre non avrebbe fatto carriera, e così
diventò Burlatsky. Dal momento in cui ho iniziato a prendere coscienza di me
stesso, cioè verso i cinque anni, non ho mai avuto dubbi: vivere sul Volga era
possibile solo con quel cognome. E passano gli anni. Forse, sotto le urla e i
lamenti. A quel tempo mio padre mi portava già a teatro.
— Mishenka, adesso puoi aprire gli occhietti! — Era la voce di Fedorovich, il
truccatore di mio padre. Un minuto prima mi aveva fatto sedere su una poltrona
di fronte allo specchio, e mi aveva ordinato di chiudere gli occhi. Sorpresa.
Guardo lo specchio, ma io non c’ero!!! Mi guarda uno gnomo col cappello, con
delle enormi sopracciglia, il naso rosso e la barba! Fedorovich era un eccellente
truccatore e un grande burlone. Come sono sopravvissuto a quel giorno, non lo
so…

L’estremità frontale della sommità del tetto era spesso sagomata a forma di testa di cavallo. 2
Aleksej Maksimovich Peshkov – il nome reale dello scrittore sovietico Maksim Gorkij. 3

Ma la vita continuava. Mio padre mi portava alle sue ripetizioni e il raro passante
notturno poteva a volte vedere due silhouette, una grande e l’altra piccola, che
camminavano a ritroso coi colletti alzati attraverso la bufera se il vento soffiava
contro il viso. Mio padre si prendeva molta cura del suo apparato canoro e
desiderava che lo facessi anche io.
E dopo nuovamente iniziavano la primavera e l’estate. I maschietti più grandi
giocavano ai coltelli, mentre i ragazzini e le ragazze ai “tesori”, visto che solo un
pezzetto di cortile era coperto d’asfalto vicino alla casa dove un tempo aveva
vissuto lo scrittore Gorkij. E fu allora che comparve il vetro. Piccoli cocci di diversi
colori: c’erano quelli verdi delle bottiglie, quelli azzurri dei profumi e persino i
cristalli di lampadario che si fondevano in un arcobaleno. Tutto ciò diventava una
decorazione e veniva nascosta in fondo a una piccola buca, scavata a terra dietro i
garage, mentre di sopra veniva coperta da pezzi di lastra e mascherata con
dell’erba.
Alcuni fortunati si imbattevano nei tesori con gli orologi a ingranaggi e a molle (nel
quartiere Zelenskij c’era una fabbrica di orologi dove ci correvano i ragazzi alla
ricerca dei pezzi). Vetro e Tempo erano per me un tutt’uno e quando mamma mi
portò il libro “L’uomo di vetro” sulla storia del vetro, lo divorai in un batter d’occhio.
Dopo un po’ nei tesori cominciarono a comparire anellini e braccialetti fatti con fili
di diversi colori — nel cortile era apparsa una nuova “valuta”. A fianco a noi c’era un
cupo edificio di granito con l’orologio — La casa delle comunicazioni, nel cui cortile
si trovavano in disordine enormi bobine di legno coi cavi neri. Dentro questi cavi si
nascondeva il tesoro, sottili fili di rame, rivestiti di plastica dai diversi colori.
Visto che io ero dalle spalle strette, mi spingevano nel tombino di granito sotto il
recinto e io sgobbavo a lungo, tagliando col coltellino tascabile i pezzetti di cavo
con il prezioso ripieno. Dai fili si intrecciavano anelli e braccialetti, vasi e cesti e
tutto ciò veniva scambiato con altre cose preziose e deliziose, come le
“cerbottane”, pistole di latta che a volte ci portava un anziano ebreo rigattiere e
che sparavano in maniera assordante tappi impregnati di qualcosa. Per queste
“cerbottane” i ragazzi erano pronti a portare da casa qualsiasi cosa!
Mentre le leccornie servivano per i pranzi al “quartier generale”. Così lo
chiamavamo il “pollaio” di legno montato su palafitte che avevamo agganciato al
recinto dietro ai garage. Vika Sosul’nikov, un ragazzo più grande che abitava al
secondo portone, comandava il cantiere, mentre noi, piccoli Govsha , 4
trascinavamo diligentemente dietro i garage gli avanzi delle tavole e i rottami di
ferro arrugginito.
— Ehi formiche! Sta facendo carriera a spese vostre! — gridava dal balcone del
sesto piano del nuovo edificio costruito di fronte al nostro, Seryozha Kornev.
Seryozha aveva dieci anni, era un anno più grande e di gran lunga più
Così si chiamavano i ragazzi di strada. 4

intelligente. Ed ebbe ragione: Vika diventò segretario del comitato distrettuale
del Komsomol. Mentre con Seryozha diventammo amici.
Ed ecco che è già arrivato il momento di accompagnare Seryozha che parte per il
servizio di leva, mentre dopo un anno io, da vero amico, con due enormi valige con
la scritta CCCP, piene di cibo, volo in Kazakistan. Là Seryozha e il suo nuovo
amico Valerij Gur’ev, scavano col piccone la steppa ghiacciata. Sono i battaglioni
da costruzione.
Prima l’aereo, dopo il treno, poi l’autobus, e infine, un furgoncino, pieno di
vecchiette dal viso rosso avvolte nei piumini, mi lascia in mezzo alla steppa. Un po’
più in là due cabine — il quartier generale.
— Vaffan…- È la risposta alla mia richiesta di incontro.
— Io qui rimango — gli rispondo, e mi siedo su una delle due valige.
Dopo qualche ora compaiono Kornev e Gur’ev rasati: gli hanno dato il permesso di
uscire per una notte a patto che si tagliassero i capelli. Agli abiti, così come a tante
altre cose, nella steppa non ci badava nessuno.
— Ecco… una gallina al forno, questi invece sono pasticcini — Sistemo sul tavolo il
contenuto delle valige — Succo d’arancia greco…papà è riuscito ad averlo su
raccomandazione… — Commento nel rigido silenzio, sospeso nella stanza. — Ah,
ci sono anche i miei acquarelli…li ho portati…per farveli vedere…
— Dov’è la vodka? — scuote la stanza il lamento dei ragazzi stupiti dalla mia
ingenuità…
E già dopo un anno toccò a me partire per la leva. Lo stesso punto di incontro alla
stazione Rechnoj: il sole, i gabbiani ed io, dalla testa rasata che parto per
Solnechnogorsk.
— Perché sei così magro?
— Così sono nato, tovarisch generale-colonnello!
Sono io che, stretto tra due enormi cumuli di neve, non sono riuscito a scampare a
Dragunskij che mi veniva incontro, dirigente del corso di tiro due volte eroe
dell’Unione Sovietica. La sua domanda, bisogna ammettere, era pertinente.
Indossavo un colbacco sporco di carburante, un cappotto di un’altra persona,
lungo fino a terra, e una vecchia cintura stretta al massimo.
Il due volte eroe mi arriva fino al petto, cosa che rafforza la mia longilinearità, e al
suo cospetto io somiglio a una betulla spelacchiata, a un manico di scopa.
— Quanti anni?
— Non ho capito, tovarisch generale-colonnello?
— Quanti anni hai, ho detto?
— Diciotto, tovarisch generale-colonnello!
— Ah…allora vai, ingrassa ancora un po’!

E io me ne andai. Andai, andai, andai…ho lavorato come fabbro e custode, tecnico
luci e designer, mi sono sposato e ho divorziato, sono diventato padre e vedovo, e
verso la fine anche ambrotipista, strana unione di fotografo e chimico, le cui
fotografie vi toccherà vedere…
Il poeta possiede una vista sfaccettata, scrisse Atner Khuzangaj, recensore del mio
primo libro di poesie: così è quando il quadro che raffigura il mondo, da un’enorme
quantità di piccoli frammenti diventa un tutt’uno, come succede alla libellula. Mi
sento più affine al caleidoscopio. È la stessa cosa per quei cocci di vetro colorato
che appartengono ai tesori della mia infanzia, dei quali si compone il motivo
perennemente cangiante della mia vita. Adesso ho 61 anni e scrivo queste righe a
San Pietroburgo, nell’appartamento numero 13 sito a via Pestel’. Mia madre fece
appena in tempo a venire qui, e inizialmente ci rimase male non vedendo i ritratti di
mio padre appesi ai muri.
— Mamma, ho immaginato un’altra storia…qui al muro sono appesi solo ambrotipi,
impronte di vetro immortali, per le quali le persone vengono da me, come in un
Photocabinet…
Mia madre ci pensò su e… si scusò.

 

Il circo nella sua testa. Olga Golovina

 Traduzione di Noemi Gentiluomo

 

Penso che Misha agisca così: senza guardarsi allo specchio, trovato a
tentoni il minuscolo gancetto della cerniera, lo tira giù e lentamente apre lo
sportellino che si trova nella sua nuca. Là dentro, a quel punto, tutto si è già
definito: i teschi hanno preso a ridere, l’uccello impagliato ha spiegato le ali,
la ballerina si è bloccata sulle punte come un manichino. Ma bisogna che
entri ancora un po’ più di luce, altrimenti non si imprimerà nulla: è così che
funziona la scrittura con la luce! Ed ecco che vaga per il suo studio con lo
sportellino della testa aperto, accende la luce, prepara il vetro, lo carica nella
fotocamera, borbotta qualcosa tra sé e sé, mentre la ballerina nel frattempo
si sta trasformando in Pierrot, le piume d’uccello diventano pesanti come
parole, e i manichini, scossi dagli sbalzi, ridendo più forte dei teschi, che un
tempo appartenevano a loro, ecco che se ne sono andati a spasso.
Ma ora che è tutto alla perfezione, si può puntare alla testa la fotocamera e
sparare…ovvero scattare.
Che cosa vediamo in tutto questo caos surrealistico, noi, gente dai modi
colti e raffinati?
In primo luogo, che questo caos ha un proprio ordine e una sua logica. Non
si tratta di astrazione, né di delirio, né tanto meno di vuota e ostentata
teatralità: è piuttosto l’unione di diversi strati di realtà grazie alla complicità
dei sogni e dell’umorismo.
E in questa unione ciascuno può cogliere diversi significati: ci sono quelli
nascosti in profondità e quelli che brillano in superficie, in modo tale da
essere afferrati da qualsiasi gazza, oppure ci sono quelli simili a uno
specchio (che in genere è ciò che distingue la fotografia), nel quale non ci si
riconosce subito, ma una volta fatto, non ci si potrà più separare da
quell’altro sé che appare sulla superficie della foto.
In secondo luogo, è un caos narrativo. Ci racconta le storie di ciò che non è
stato mai visto, ma desiderato. Non nel senso che qualcuno vorrebbe che
dalla colonna vertebrale gli spuntassero gli aculei come a un anfibio
preistorico, o che un vecchio fauno nudo ci suonasse una bizzarra melodia.
Si tratta piuttosto del desiderio che qualcosa del genere possa accadere, da
qualche parte, a qualcuno, prima o poi. Perché noi, gente dai modi colti e
raffinati, amiamo leggere le altrui fantasie, da Omero a Baudelaire, e ogni
mattina raccontare a qualcun altro (e a noi stessi) i sogni. E le storie
raccontate negli ambrotipi di Burlatsky, sono brevi, come gli aneddoti di
Kharms , e come loro, si lasciano dietro una catena di domande e 1
supposizioni che si possono mescolare, come le carte in un mazzo,

Daniil Kharms (1905-1942) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo sovietico surrealista. 1

inventando sempre nuove trame; oppure scomporre, come farebbe un
caleidoscopio, e sorridere a ogni nota di questa brillante melodia.
Infine, è un caos magistralmente creato: vi è l’allusione alla pittura classica,
alla fotografia, alla letteratura, al cinematografo, alle storie erranti del circo
europeo e agli aneddoti tipici dell’umorismo russo. Una ricca fattura di
materiali e di volti, la percezione della profondità del vetro, la struttura, una
luce semplice ma nient’affatto casuale; alla fin fine, la composizione delle
foto è interna al libro: questo è un lavoro complesso, eseguito con talento e
con piacere.
E adesso, i quadri che dimorano nella camera oscura della sua testa sono
approdati a questa edizione. Vetro su carta, si potrebbe affermare. E a
proposito, per quale motivo “Vetro”? Beh perché l’ambrotipo è un’antica
tecnica fotografica realizzata su vetro, e via di questo passo…Ma io mi sono
data un ulteriore spiegazione: è come se fosse il vetro attraverso il quale
osserviamo il mondo, vetro che a noi appare trasparente, ma su cui certi
autori, come Misha, rivelano le immagini di un’altra realtà, che appaiono sul
ciglio della coscienza, prive però di nitidezza. E all’improvviso attraverso
questa fiaba assistiamo alla tragicommedia del nostro mondo, vediamo
quello che potrebbe diventare, oppure quello che non sarà mai. E i mondi
che popolano le piccole camere oscure contenute nelle altrui teste
acquistano autonomia, vivendo non più di quanto duri il flash, ma
esattamente il tempo che gli concede la luce. E osservandoli, percepiamo
all’improvviso qualcosa di piacevole, come se si fossero formati dei pezzetti
di puzzle al loro interno, e il quadro fosse divenuto più chiaro. Certo non del
tutto, ma pur sempre più nitido.
Così è arrivato il momento per il triste clown di dar da mangiare alla
paperella di gomma. Di suonare le corde del proprio amato con una piuma
come se fosse un violino. Di dar retta all’uccello-fotografo (su chi puntare
altrimenti?) e capire finalmente tutto delle donne, guardando il riccio di mare
nella foto con la sposa. Per scherzo scomparire, dividersi, sdoppiarsi e
triplicarsi, sospendere il battito e fuggire nel paesaggio dei sogni. È tempo di
aprire l’otturatore del cuore, a cui è collegato il cavetto, per farsi penetrare in
una frazione di secondo da tutto questo meraviglioso mondo dipinto dalla
luce, per poi subito dopo richiuderlo fino al prossimo scatto o per sempre.
Voi, eroi delle sue immagini, che avete preso parte alla creazione di questo
carnevale, in occasione delle dimissioni dal manicomio, mi direte forse:
“Aspetta! Non ha puntato la fotocamera alla testa di nessuno! Noi siamo stati
qui, nel suo studio, e (un po’ soffrendo, e un po’ scherzando) abbiamo
assecondato le direttive di Misha e ogni sorta di sua fantasia!”

No, miei cari, così vi è parso. Siete stati presi abilmente in giro. Vi siete
trovati dietro lo sportellino della sua nuca, e lì siete rimasti.
Ma perché mi ostino a parlare solo della testa? Mi sembra che Misha la
fotocamera la avvicini non solo alla nuca, ma anche agli occhi, alle tempie,
alla bocca. E ancora al cuore, allo stomaco e…cos’altro c’ha là? Ma più di
tutto alla testa.
Ebbene si. Va proprio così. Che credevate? Che nella testa di Misha ci fosse
un cervello?

 

TITOLI

11. Coda. Аmbrotipo 10×12 cm, 2014
12. Dopo il ballo. Аmbrotipo 20×25 cm, 2019
13. Destino. Аmbrotipo 20×25 cm, 2010
14. Lettera da Bojberik. Ambrotipo 13×18 cm, 2013
15. Мusa. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
16. A prendere l’acqua. Аmbrotipo 20×25, 2012
16. Il fantasma dello studio. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
28. Il suo giocattolo. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
19. Vladimir. Аmbrotipo 20×25 cm, 2017
20. Dalla serie «Bicchiere d’acqua». Sasha. Аmbrotipo 28×36 cm, 2013
21. Imitando qualcuno. Аmbrotipo 20×25 cm, 2019
22. Zoya. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
23. Ritratto di Saraceno. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
24. Una donna alla moda. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
25. Мaschera. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
26. Isola Santa. Ambrotipo 13×18 cm, 2012
27. La formula dell’Universo. Ambrotipo 20×25 cm, 2011
28-29. Dicembre al Campo Marte. Ambrotipo 13×18 cm. 2015
30-32. Dalla serie «Bicchiere d’acqua». Stas. Аmbrotipo 28×36 cm, 2013
32-33. Dalla serie «Bicchiere d’acqua». Cristina. Аmbrotipo 28×36 cm, 2013
34. Аdagio. Ambrotipo 20×25 cm, 2016
35. Nutrire gli anatroccoli. Ambrotipo 20×25 cm, 2016
36. Vecchie ali. Ambrotipo 20×25 cm, 2016
37. Cyril. Ambrotipo 20×25 cm, 2016
38. Pensando a Tesla. Ambrotipo 20×25 cm, 2019
39. Marcia sinistra. Ambrotipo 28×36 cm, 2017
40. Gravità. Ambrotipo 20×25 cm, 2010
41. I pensieri segreti di sir Baskerville. Ambrotipo 20×25 cm, 2010
42-43. Memorie. Ambrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2018
44. Dima pilota. Ambrotipo 28×36 cm, 2014
45. Кatya pilota. Ambrotipo 28×36 cm, 2014
46. Lottando con l’ombra. Ambrotipo 20×25 cm, 2019
47. Nei pressi dello stagno. Аmbrotipo 13×18 cm, 2014
48. Drogato. Аmbrotipo 13×18 cm
49. Аnka. Аmbrotipo 20×25 cm, 2018
50-51. Il gazometro della distilleria. Ferrotipo 13×18 cm, 2014
52. Fissare un appuntamento con le stelle. Аmbrotipo 20×25 cm, 2010
53. Curiosa morfologia. Ambrotipo 18х24 cm, 2009
54. Una volta che spicca il volo, non lo catturerai mai. Аmbrotipo 13×18 cm, 2016
55. Dedicato a Nadar. Аmbrotipo 20×25 cm, 2016
56. Seminario sui procedimenti legali accelerati. Аmbrotipo 20×25 cm, 2010
57. Lambada. Ambrotipo 13×18 cm, 2019
58-59. Imitando Matisse. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2016
60. Divertimento alla maniera di Beardsley. Аmbrotipo 20×25 cm, 2010
61. Hotline. Аmbrotipo 20×25 cm, 2009
62. Аllegoria della Primavera. Аmbrotipo 13×18 cm, 2012
63. Harakiri. Ferrotipo 13×18 cm, 2012
64. Roulotte russa. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2014
65. Abisso. Аmbrotipo 20×25 cm, 2015
66. Addio. Аmbrotipo 18х24 cm, 2009
67. Nessie. Аmbrotipo 20×25 cm, 2016
68-69. Il poligono delle femministe. Аmbrotipo 20x 25 cm, 2010
70. L’evoluzione secondo Brem. Ferrotipo 13×18 cm, 2012
71. Pan. Аmbrotipo 18х24 cm, 2009
72-73. Chiamata. Аmbrotipo 20×25 cm, 2018
74. Ragazza col tatuaggio di un’orsa. Аmbrotipo 20×25 cm, 2015
75. I dolori del fantasma. Аmbrotipo 13×18 cm, 2014
76. In spiro veritas. Аmbrotipo 13×18 cm, 2014
77. Аrfagrafia. Аmbrotipo 20×25 cm, 2019
78-79. Botto. Аmbrotipo 28×36 cm, 2015
80. Il party per la cena. Аmbrotipo 20×25 cm, 2017
81. L’altoparlante. Ambrotipo 13×18 cm, 2012
82-83. La pesca. Ferrotipo 13×18 cm, 2015
84. Officina «Sennaya». Аmbrotipo 20×25 cm, 2016
85. Il piccolo cavallo gobbo. Аmbrotipo 18х24 cm, 2009
86-87. Legende e miti di via Galernaya. Аmbrotipo 20×25 cm, 2010
88. Julia. Аmbrotipo 20×25 cm, 2015
89. Rasoio. Аmbrotipo 18х24 cm, 2009
90. Alle pendici. Аmbrotipo 13×18 cm, 2013
91. Se il nemico non si arrende, lo fanno fuori. Аmbrotipo 20×25 cm, 2014
92. Natasha. Аmbrotipo 28×36 cm, 2013
93. Il signore della sfera magica. Аmbrotipo 20×25 cm, 2014
94-95. Soljaris. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2015
96. Ragazza di Sagarejo. Ferrotipo 13×18 cm, 2018
97. Addio. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2014
98. Il peso. Аmbrotipo 20×25 cm, 2015
99. Radio F-M. Аmbrotipo 13×18 cm. 2016
100-101. La passerella egiziana. Аmbrotipo 13×18 cm, 2013
102. Di nuovo in diretta. Аmbrotipo 20×25 cm, 2012
103. Propaganda. Ambrotipo 13×18 cm. 2012
104. L’orologiaio. Аmbrotipo 18х24 cm, 2009
105. Al crepuscolo. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2013
106. Il baratro. Аmbrotipo 20×25 cm, 2016
107. La sfida. Ferrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2014
108. King Clear. Аmbrotipo 20×25 cm, 2009
109. L’eclisse. Аmbrotipo 13×18 cm, 2014
110. Ciclope. Аmbrotipo 13×18 cm, 2019
111. Аnton. Аmbrotipo 28×36 cm, 2013
112-113. I sogni di un fante. Аmbrotipo 13×18 cm, multiesposizione, 2014
114. L’infelice Fanny. Аmbrotipo 20×25 cm, 2009
115. I ronzii del Cremlino. Аmbrotipo 20×25 cm, 2010
116. Cocktail da Molotov. Аmbrotipo 20×25 cm, 2015
117. Chiamare il paradiso. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2020
118. Ad libitum. Аmbrotipo 20×25 cm, 2010
119. Incontro notturno. Ferrotipo 13×18 cm, multiesposizione, 2014
120-121. Una storia di cocaina. Аmbrotipo 20×25 cm, 2011
122. Amleto. Аmbrotipo 13×18 cm, 2014
123. Esaurimento nervoso. Аmbrotipo 13×18 cm, 2019
124-125. La canzone del cigno. Аmbrotipo 20×25 cm, 2019

Prove di separazione. Ispirato al racconto di Gogol’ «Il naso»

128. Genesi. Ferrotipo 13×18 cm, 2014
129. Uscita. Ferrotipo 13×18 cm, 2014
130. Coscienza. Ferrotipo 13×18 cm, 2014
131. Adattamento. Ferrotipo 13×18 cm, 2014
132. Contemplazione. Ferrotipo 13×18 cm, 2014
133. Ritorno. Ferrotipo 13×18 cm, 2014

Ja, ja!  Natürlich!!!

136-137. Interrogatorio. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2017
138. Messaggio. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2019
139. La cena interrotta. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2017
140. Gioco alla cieca. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2019
141. Ritratto frontale. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2018
142. Questioni che contano. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2018
143. Visita medica. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2019
144. Аutotrofo. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2019
145. L’onore è mio! Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2019
146. Le avventure dell’orso Gandhi. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2019
147. Identificazione. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2019
148. Il bicchiere della staffa. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2017
149. Il nono giorno. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2017
150. La fortuna arriva nuda. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2018
151. Appassionata. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2017
152. Fuoco. Аmbrotipo 20×25 cm, multiesposizione, 2017